domenica 27 maggio 2012

Ancora si parla di apartheid?

L'accusa di apartheid, che ancora oggi viene da taluni mossa nei confronti di Israele, fa ridere chi abbia un minimo di conoscenza della storia. Grottesco che si accusi lo stato ebraico di discriminazioni verso le minoranze; verso i neri: in uno stato che con le operazioni «Salomone» e «Mosé» è andato a prendersi i suoi neri in Etiopia e in Sudan; verso gli arabi, che rappresentano oltre il 20% della popolazione israeliana, e che partecipa pienamente e attivamente alla vita civile, politica e sociale di Israele.
Questa accusa, tanto superficiale quanto infame, poggia su una sciagurata risoluzione ONU del 1975, che considerava il Sionismo una forma di razzismo. Tale risoluzione è stata revocata dalle Nazioni Unite nel 1991; ma dopo più di vent'anni, quell'assurdo principio trova ancora ospitalità nelle menti di persone in malafade; sempre meno, onestamente. Ma sempre rumorose. Per questo, un paio di appunti possono giovare ad integrare quanto già detto in passato in questa sede.


di Dan Calic

Il termine "stato di apartheid", applicato ad Israele, ha guadagnato notorietà soprattutto dopo la pubblicazione nel 2006 del libro dell'ex presidente USA Jimmy Carter "Israele: pace, no apartheid". Il termine si riferisce alla condizione esistita in Sudafrica, dove una minoranza bianca pari al 20% della popolazione controllava la maggioranza nera attraverso un regime brutale e aggressivo, che includeva leggi segregazioniste e una polizia che sistematicamente picchiava e uccideva i neri godendo di impunità. I neri non godevano di diritto di voto e non potevano gestire attività commerciali.
Chi ha parlato di apartheid per Israele non ha colto il significato di questo termine, mancando di rilevare circostanze così fondamentali nel comparare queste realtà, che l'uso di questo termine risulta seriamente discutibile. Come si spiega il fatto che tutti i popoli chiamano "patria" la loro nazione, ma questo è giudicato razzismo se a farlo sono gli ebrei?
Un altro fatto taciuto riguarda gli arabi che vivono in Israele: ben contenti di farlo. Essi votano, hanno proprietà e attività commerciali, e non sanno cos'é la segregazione. Vivere in Israele è così allettante che in un paio di occasioni, quando l'Autorità Palestinese ha minacciato di annettere i quartieri orientali di Gerusalemme, l'ufficio israeliano per l'immigrazione è stato sommerso da richieste di arabi per ottenere la cittadinanza israeliana: nel timore di poter diventare cittadini arabi (palestinesi, NdT) dalla sera alla mattina.
Di converso, i neri del Sudafrica di sicuro non facevano la fila presso gli uffici governativi, costretti alla disperazione di essere soggiogati sotto il regime di apartheid. Qui l'apartheid era una escrescenza del Commonwealth britannico. Lo scopo era quello di garantire il controllo da parte dei bianchi. Nel caso di Israele la sua istituzione è stata garantito da un voto favorevole del 72% dei membri delle Nazioni Unite. Gli arabi nel frattempo avevano già ricevuto quasi il 90% delle terre originariamente ritagliato dal mandato britannico per farne la patria del popolo ebraico. Ma lungi dall'accettare una partizione estremamente vantaggiosa, gli arabi respinsero la proposta, e attaccarono Israele 24 ore dopo la proclamazione dello stato.

Da allora, la distruzione di Israele è stata l'ossessione del mondo arabo. Gruppi come l'OLP, Hamas, Fatah e Hezbollah sono stati costituiti, ciascuno con l'imperativo di distruggere Israele e sradicare il Sionismo, ben impresso nei rispettivi statuti. Da quando è stato proclamato lo stato ebraico, attacchi terroristici sono stati scagliati nei confronti delle famiglie israeliane. Fra il 1948 e il 1999, circa 2.000 israeliani hanno perso la vita per mano dei terroristi, per una media di 43 omicidi all'anno. Per sopperire a questo stillicidio, nel 2000 è stata avviata la costruzione della barriera di sicurezza: fu l'anno in cui partì la "seconda Intifada". Quell'anno vide una impennata delle morti di civili, da una media di 43 a 288 all'anno, fino al 2003, quando il primo stadio della costruzione della barriera di sicurezza fu portato a termine. Sembra che i detrattori di Israele trascurino questa escalation di uccisioni quando puntano il dito contro il "muro dell'apartheid"...
Oggi la barriera di protezione è completa per quasi il 70%, e il numero di attentati si è drasticamente ridotto. Ciò malgrado, i leader arabi continuano a lodare come eroi gli assassini, intitolando strade e piazze a loro nome. Quando una figura di spicco come il leader palestinese Mahmoud Abbas onora pubblicamente i terroristi omocidi, fa meraviglia che lo stato ebraico prenda contromisure per proteggere le proprie famiglie costruendo una barriera di sicurezza?
Nel tentativo di assicurare la sopravvivenza dell'unico stato al mondo per il popolo ebraico, di fronte agli arabi che sono teologicamente, politicamente e culturalmente impegnati nella sua distruzione, Israele è stato etichettato come "stato di apartheid". Per inciso, anche coloro che formulano questa accusa a loro volta si può dire che possano essere analogamente etichettati: come anti-semiti.

Fonte: Yedioth Ahronoth

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