giovedì 14 febbraio 2013

Chi sottrae l'acqua ai palestinesi?

di Raheem Kassam*

La domanda che frequentemente si pone è: «se i loro fratelli arabi e musulmani nell'area si sentono così legati al popolo palestinese, come mai non sono stati investiti milioni in progetti di sviluppo finalizzati ad alleviare le condizioni di povertà nella Striscia di Gaza?» Al che qualcuno si lagna: «ma... ma... ma Israele?!"...». Una argomentazione futile sul piano teorico come nella pratica. Ma bisogna partire dall'inizio, perché la disinformazione propagandata dai delegittimatori dello stato ebraico spesso conduce ad errate convinzioni, che si radicano nella mente di giornalisti, attivisti e soprattutto politici. Nel frattempo, sarà utile dare un'occhiata a cosa entra a Gaza da Israele qui e qui.
Come è possibile che sia stata presentata al parlamento britannico una mozione che accusa il governo israeliano per una situazione che già nel 2009 era denunciata dalla Banca Mondiale come insostenibile? con la precisazione che la Banca Mondiale non biasimava Israele, mentre un rapporto delle Nazioni Unite affermava testualmente che mentre l'Operazione Piombo Fuso esasperava i problemi già esistenti, gli stessi erano «riconducibili a mancanza di investimenti nella tutela dell'ambiente e al collasso del meccanismo di governo».
La mozione afferma che «le politiche di occupazione israeliana» (Israele ha sgomberato unilateralmente da Gaza nel 2005, e da allora soltanto un cittadino israeliano - suo malgrado - vi ha "soggiornato" fino a pochi mesi fa: il caporale Gilad Shalit, sequestrato in Israele da Hamas, NdT) sono responsabili per la scarsità di acqua a Gaza. In realtà, le cause sono molteplici e nessuna di esse è riconducibile all'"occupazione israeliana": una espressione che dal ritiro del 2005 non ha alcun senso. Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia, trasformando l'area in una piattaforma di lancio per i suoi attacchi terroristici verso Israele, i gazani hanno conosciuto la sofferenza, con Hamas che continua a provocare la reazione israeliana sparando missili contro le zone abitate dello stato ebraico. Alla fine dello scorso anno, Hamas ha bersagliato sia Tel Aviv che Gerusalemme, manifestando il suo obiettivo di proocare quante più vittime umane possibile. Ed è riuscita nell'intento.
A Gaza, la dittatura di fatto di Hamas comporta che la responsabilità per le infrastrutture è la sua. Ma gli aiuti finanziari che riceve dai donatori internazionali sono impiegati soprattutto per finanziare le attività terroristiche. Le forniture a Gaza sono giustamente contenute per prevenire che siano impiegate come parti di installazioni belliche. Non si tratta di una "politica di occupazione": è una misura difensiva precauzionale adottata da uno stato assediato nell'ambito di un conflitto infinito.
La Banca Mondiale conferma: la mancanza di materie prime (e di investimenti, NdT) è un fattore che assieme ad altri spiega la scarsità di acqua a Gaza. Le autorità qui hanno scavato illegalmente oltre 250 pozzi senza il consenso del comitato giunto israelo-palestinese. Di recente è stato annunciato un finanziamento da 6.4 milioni di dollari allo scopo di finanziare la costruzione di infrastrutture a Gaza. La sovvenzione sarà finalmente accresciuta da una organizzazione islamica, la Islamic Development Bank, fino a 11.1 milioni, allo scopo di costruire serbatoi e distribuire acqua. Israele, ovviamente, scalpita da più di un anno per avviare un progetto analogo: ad inizio 2012 il ministro per l'energia e l'acqua affermava: «la nostra esperienza è a disposizione di tutti i nostri amici, inclusi coloro i quali non ci accettano: i palestinesi. Vorremmo tanto che i nostri progetti fossero presi in considerazione; ma essi rispondono che se la vedono da soli, e se va bene a loro, va bene anche a noi».
Israele conosce bene la scarsità di risorse dell'area: sono note le innovazioni sponsorizzate dal governo finalizzate alla riduzione della dispersione di fonti idriche e al contenimento del consumo pro-capite. In realtà gli israeliani consumano soltanto una frazione di acqua in più rispetto ai palestinesi. Il tema dell'acqua è stato dibattuto nell'ambito degli Accordi di Oslo (II Parte), e Israele non solo ha adempiuto ai suoi impegni, ma alla fine ha fornito acqua a Gaza e al West Bank in misura superiore a quanto si era impegnata a fare.

Ripetiamo un aspetto chiave: Israele ha più che adempiuto a tutti i suoi obblighi nell'ambito degli Accordi di Oslo, in termini di quantità di acqua da fornire ai palestinesi. Di converso i palestinesi hanno contravvenuto a due aspetti degli Accordi, con riferimento ai "pozzi pirata" e nel consentire che le acque reflue siano confluite nei flussi senza essere preventivamente trattate.
Nel frattempo, mentre i gazani continuano a ricevere sempre più acqua a favore di una crescente popolazione, i loro fratelli in Egitto continuano a sperperarne in quantità industriale allagando i tunnel che collegano l'Egitto alla Striscia di Gaza, come è stato reso noto in questi giorni. Chiaramente, si tratta di un tentativo di smantellare il contrabbando illegale, sebbene con metodi più dispendiosi e potenzialmente mortali rispetto a quanto fatto dal governo israeliano. Ma tanto, nessuno mai si sognerà di accusare l'Egitto di "creare un campo di concentramento" a Gaza, o di "opprimere il popolo palestinese".

* The Commentator

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