venerdì 19 febbraio 2016

I palestinesi hanno abortito il processo di pace

In un curioso annuncio del "ministro degli Esteri" dell'autorità palestinese Riyad Malki, reso ad una conferenza stampa a Tokyo il 15 febbraio scorso, nell'ambito di una visita di Mahmoud Abbas in Giappone; Malki ha affermato, stando a quanto riportato da Times of Israel, che «non torneremo più indietro per sederci al tavolo dei negoziati diretti fra israeliani e palestinesi».
Molti dipingerebbero questa affermazione come ennesimo esempio della solita propaganda ed arroganza palestinese, nel momento in cui il mondo è in una certa misura stanco di assistere a questi continui tira e molla dei palestinesi, nel tentativo di orientar l'opinione pubblica globale a proprio favore.
Ciò appare evidente quando, al contempo, la leadership palestinese si mostra categoricamente indisposta a ritornare al tavolo dei negoziati, preferendo prodigarsi nello sforzo di aggirare il processo negoziale.
In aggiunta, la leadership palestinese continua sfacciatamente e ad un certo punto anche orgogliosamente a sostenere e incoraggiare la campagna delegittimatoria del BDS contro Israele nei campi commerciali e culturali, impegnandosi in un incitamento quotidiano che produce violenza e morte di ebrei ed israeliani.
Tutto questo in palese spregio del formale impegno palestinese - che sia nei confronti dello stato ebraico o della comunità internazionale - sottoscritto nel corso degli ultimi vent'anni.
L'aspetto ironico di questa curiosa situazione è il fatto che ad essere accusato di intransigenza è lo stesso Israele: a turno, dal ministro degli Esteri francese, dal Dipartimento di Stato americano o dalla leadership europea.

Tuttavia, l'annuncio del responsabile della politica estera palestinese Malki va preso molto, molto sul serio. Nella diplomazia internazionale, le dichiarazioni di un ministro degli Esteri sono considerate posizione ufficiale del governo che lo esprime. Pertanto, il pronunciamento di Malki suona contrastante rispetto all'impegno solenne sottoscritto da Yasser Arafat in una lettera recapitata il 9 settembre 1993 al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, secondo la quale «l'OLP si impegna nel processo di pace in Medio Oriente e in una risoluzione pacifica del conflitto fra le parti, dichiarando che tutte le controversie in essere saranno risolte mediante negoziati bilaterali». Analogamente, negli Accordi Interinali di Parigi del 1995 (la cosiddetta "Oslo 2") le parti confermavano l'aspirazione a pervenire ad un «accordo equo, duraturo e definitivo, nonché ad una riconciliazione storica mediante un processo politico condiviso».

Sicché questa dichiarazione ufficiale di un esponente di spicco del governo palestinese mette fine, a tutti gli effetti, alla continuazione del processo di pace negoziato fra israeliani e palestinesi; e dovrebbe essere considerato dai leader di Stati Uniti, Europa e Nazioni Unite per quello che è: un oltraggioso e scioccante voltafaccia, chiara violazione degli impegni finora assunti, e soprattutto degli Accordi di Oslo. Stronca tutti i tentativi degli organismi internazionali di indurre le parti al dialogo. Un sonoro ceffone sul volto dei politici, diplomatici, parlamentari e soggetti vari che a più riprese hanno ottusamente accusato Gerusalemme di intralciare il processo negoziale.
Questa dichiarazione di fatto avalla una condotta in essere da tempo da parte della leadership palestinese: incoraggiare qualsiasi pratica che non siano i negoziati diretti, nel tentativo che i francesi, gli americani, l'Unione Europea o le Nazioni Unite possano costringere Israele ad accettare i diktat palestinesi, imponendo una soluzione che mortifichi le aspettative israeliane di una pace equa, duratura, e che tenga conto della propria sicurezza e storia.

Ci si potrebbe aspettare che tutti questi politici che si sentono coinvolti nel processo di pace in Medio Oriente - il riferimento è al segretario di Stato USA John Kerry, al segretario dell'ONU Ban Ki-moon e all'Alto Rappresentante per la Politica Estera Europea Mogherini - si prodighino immediatamente nell'esprimere indignazione, rigettando questa sciagurata dichiarazione.
E ci si dovrebbe aspettare che chiedano pubblicamente rassicurazioni da parte della leadership palestinese circa il fermo intento di perseguire la soluzione alla storica controversia secondo negoziati diretti, come già solennemente promesso.
È chiedere troppo?

Fonte: Have the Palestinians Renounced the Peace Process?
su JCPA.org

2 commenti:

  1. suona contrastante rispetto all'impegno solenne sottoscritto da Yasser Arafat in una lettera recapitata il 9 settembre 1993 al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin
    Avendo Arafat dichiarato alla radio giordana la sera stessa della stretta di mano sul prato della Casa Bianca, che quegli accordi non erano altro che un pezzo di carta e che niente era cambiato nel programma della distruzione di Israele, non vedo che senso abbia che l'autore dell'articolo finga che quegli accordi fossero, da parte di Arafat, degli accordi veri con qui quest'ultima dichiarazione sarebbe in contrasto.

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