domenica 23 marzo 2014

Palestinesi: «acqua? no grazie!»

I palestinesi si confermano coloro che non perdono mai occasione per perdere un'occasione; questa volta, per togliere ogni dubbio circa il loro ottuso autolesionismo. Qualche giorno fa un'agenzia di stampa ha reso noto un progetto elaborato dall'UNICEF, che gode di ampie coperture finanziarie (fino a 10 milioni di euro) da parte dell'Unione Europea; e finalizzato alla costruzione di impianti di desalinizzazione presso la Striscia di Gaza.
Nobile il proposito: fornire acqua potabile a 75 mila palestinesi, che soffrono ogni giorno della carenza di acqua potabile. Le agenzie di stampa, si sa, forniscono una materia prima - la notizia nuda e cruda - senza fronzoli ne' cornici interpretative; salvo, aggiungiamo, quando le fonti da cui reperiscono la notizia sono di parte palestinese; la quale in questo caso fornisce già un "semilavorato" informativo, se non un prodotto del tutto finito. Peccato, perché AFP poteva indugiare sui motivi per cui una larga parte dei palestinesi che popolano la Striscia non dispone di acqua potabile: avrebbe scoperto facilmente che Hamas preferisce investire denaro nell'acquisto di costosi armamenti dall'Iran, anziché migliorare le infrastrutture fognarie ed idriche. Tanto, si sa già a chi addossare la responsabilità, no?
AFP avrebbe potuto scattare qualche foto che immortalasse le lussuosissime strutture ricettive e i centri commerciali di Gaza, che certo non difettano di acqua potabile, e dove i gerarchetti di Hamas sono di casa; oppure le tante fontane da cui zampilla il prezioso liquido, o i parchi acquatici che vedono felici protagonisti tanti giovani palestinesi. Ma sarebbe sembrata propaganda, pur se ampiamente documentata.
Lasciamo perdere. Sappiamo già che questo investimento, la cui copertura finanziaria è garantita dall'Europa, si rivelerà... un buco nell'acqua. Ciò che lascia sconcertati è la reazione della popolazione locale. Entusiasmo? sollievo? manco per niente: un paio d'anni fa i sindacati palestinesi denunciarono un analogo progetto, poi accantonato, perché timorosi di una partecipazione di utility israeliane, che come tutti sanno - anche i più ciechi antisionisti - sono all'avanguardia mondiale nei processi di desalinizzazione (al punto da essere diventati "esportatori netti" di acqua) e di irrigazione a goccia. L'automutilazione è tornata a fare capolino: EWASH, un consorzio che raggruppa diverse ONG arabo-palestinesi - prima o poi si scoprirà che sono più coloro che lucrano sulla pelle dei palestinesi; che non i palestinesi stessi... - si oppone risolutamente al progetto dell'UNICEF; a prescindere, senza conoscere null'altro che l'entità numerica dei diretti beneficiari.
Il progetto, lamentano le ONG, «perpetrerebbe lo status quo senza far venir meno l'occupazione» (ignorando il fatto che Israele la Striscia l'ha abbandonata nel 2005); addirittura «esaspererebbe l'isolamento di Gaza affrancando Israele dai suoi obblighi» (non una parola sulla distruzione dei tunnel che a sud collegano Gaza all'Egitto, che nel frattempo ha sigillato da tempo tutti i suoi varchi; scatenando una protesta che però non trova eco fuori da Gaza). E sorvolando sul fatto che giuridicamente Israele ha obblighi soltanto nei confronti del West Bank, che tuttora "occupa". Termine peraltro improprio, visto che si tratta di territori contesi, non occupati); e arriverebbe ad «incrementare l'isolamento della popolazione gazawa», già martoriato dal regime islamico di Hamas che non esita a bombardare le città meridionali di Israele, accettando cinicamente l'inevitabile risposta militare.


Molto più semplice, per queste ONG, pretendere che l'acqua sia fornita direttamente e a costo zero dagli stessi israeliani. E pazienza se questo perpetra lo stato di dipendenza e soggezione della popolazione palestinese: tutto, pur di penalizzare i "sionisti" (e al diavolo i palestinesi, aggiungono queste ONG).
E dire che Hamas è molto attiva a Gaza nella realizzazione di infrastrutture. Centinaia di camion ogni mese entrano da Israele nella Striscia per consegnare materiali da costruzione. Cemento, calcestruzzo, tondino in ferro, legname da costruzione e altri materiali sono utilizzati febbrilmente: ma non per migliorare la rete idrica; non per trattare i liquami e impedire che venga inquinata la falda acquifera; non già per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi; quanto per "peggiorare" quelle degli israeliani: costruendo tunnel per contrabbandare armi e munizioni, e per attentare alla vita di soldati e civili dello stato ebraico.


H/t: Elder of Ziyon.

2 commenti:

  1. La voci diverse ... vengono costantemente censurate ...bisogna per forza dire "articolo strepitoso" ...

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