mercoledì 6 marzo 2013

Il giornalismo al servizio della propaganda palestinese (da Al Durah a Kulhood Badawi)

di Philippe Assouline*

E' stata una immagine caratterizzante l'ultimo conflitto a Gaza. Il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, e il primo ministro egiziano Hashim Kandil che reggono il corpo senza vita di un bambino palestinese, rivolti verso le telecamere. Il volto insanguinato, gli occhi senza vita, come ad implorare il mondo: «e voi, non vi rivolgereste contro Israele per questo omicidio?» Solo che non fu Israele ad uccidere Mohammed Sadallah, di appena 4 anni: fu invece la stessa Hamas. In una tragica ironia, uno delle migliaia di missili sparati contro i bambini israeliani ha invece colpito un bambino gazano. Il gruppo estremista islamico non ci ha pensato molto a trasformare il corpo senza vita del bambino in uno strumento di pubbliche relazioni, con la stampa internazionale ben felice di assecondarlo.
Durante la stessa settimana, attivisti palestinesi hanno ripetutamente tentato di diffondere foto false di bambini arabi morti, spacciandoli per vittime di Israele. Le foto in realtà si riferivano a bambini siriani massacrati diverse settimane prima da Bashar Assad. Qualche giorno fa, sulla scia di polemiche senza precedenti, l'ONU ha licenziato Kulhood Badawi, un alto funzionario, che cercò di spacciare l'immagine di una bambina accidentalmente perita nel 2006 come vittima di Israele. Sia la Badawi che Hamas - il cui ministro nel 2009 esaltò «l'impiego di donne e bambini come scudi umani per sfidare la macchina sionista» - contano sul fatto che la stampa internazionale prende sistematicamente per vere le loro affermazioni; e così sinora è sempre stato.
Diversi blogger hanno svelato le loro falsità, ma ormai il danno era fatto. E il danno che certi giornalisti creano nel favorire l'opera di demonizzazione di Israele ad opera di certi militanti filopalestinesi, si misura in vite umane spezzate: da ambo i lati.
In questo attacco senza esclusione di colpi, i propagandisti filopalestinesi hanno imparato da tempo che le sensazioni prevalgono sui fatti reali. Le immagini e le accuse che scuotono l'opinione pubblico e sensibilizzano l'empatia naturale del pubblico, rappresentano armi insostituibili per catturare la simpatia verso i palestinesi e per provocare ostilità verso Israele. Lo stesso Yasser Arafat nel 2002 - due giorni prima che la sua organizzazione uccidesse sei persone in un Bat Mitzvah in Israele - sottolineò con cinismo il valore dei bambini palestinesi morti come mezzo di propaganda: «i bambini palestinesi che impugnano una pietra, e che fronteggiano un carro armato: non è questo il messaggio più efficace per il mondo, in cui un eroe diventa martire?».

Quando Arafat pronunciò queste parole, aveva ben in mente le immagini scioccanti della morte di Mohammed Al Durah. Quel filmato di 50 secondi, ripreso e distribuito in tutto il mondo da France2 a settembre 2000, mostrava un bambino e suo padre al centro di uno scontro a fuoco, intenti a ripararsi terrorizzati dietro ad un bidone a Gaza. Le immagini si interrompono, e tornano dopo alcuni istanti, i colpi si esauriscono, il fumo si dissolve, e si scorge il corpo senza vita del bambino, fra le gambe del padre. Il reporter di France2 Charles Enderlin, nel descrivere la scena a cui non aveva direttamente assistito, rivelò al mondo che il bambino e suo padre furono «obiettivi del fuoco israeliano».
Il documentario di Enderlin fece il giro di tutto il mondo e alimentò la Seconda Intifada che sarebbe seguita poco dopo. Nel giro di pochi giorni, una folla inferocita a Ramallah urlava «rivincita per il sangue di Muhammad al Durah», mentre smembrava il corpo di due israeliani che lì si erano dispersi. La stessa motivazione era avanzata da un diluvio di attentatori palestinesi suicidi prima di assassinare centinaia di persone in ristoranti, scuole, autobus e locali in Israele. Al Qaeda ha usato Al Durah come veicolo di reclutamento, e terroristi islamici decapitarono Daniel Pearl nel 2002 con l'immagine di Al Durah sullo sfondo. In Occidente, il documentario di Enderlin ha accusato senza appello Israele, fornendo copertura morale agli attacchi terroristici di organizzazioni palestinesi; molte delle quali sono arrivate ad equiparare Israele alla Germania nazista. Dodici anni dopo, fa forse meraviglia che Mohammed Merah ha sparato a dei bambini davanti ad una scuola ebraica a Tolosa per «vendicare l'uccisione di bambini palestinesi da parte di Israele»? Con il sostegno dei principali media internazionali, la morte di un bambino è usato come lasciapassare per uccidere ebrei, occidentali e i loro bambini.

Ma non fu Israele ad uccidere Mohammed Al Durah.
Occhi attenti presto smascherarono le evidenti lacune nel documentario di Enderlin: si disse che Al Durah sarebbe morto per le ferite riportate, ma il filmato non rivela alcuna traccia di sangue; la fotografia della sua presunta tomba a Gaza raffigura in realtà un altro bambino; le ferite che il padre sostiene di aver riportato risalivano ad una pugnalata subita anni prima. Soprattutto, dalla loro posizione, gli israeliani non avrebbero mai potuto colpire Al Durah.
Ironia della sorte, uno degli attivisti che hanno lavorato infaticabilmente per svelare la verità, Philippe Karsenty, ha subito un processo per diffamazione, avendo messo in discussione la credibilità del documentario di Enderlin. Ma quando un tribunale francese ha ordinato a France2 di mostrare i retroscena inediti usati nel filmato, le accuse si sono rovesciate: nel filmato integrale, dopo che la voce narrante di Enderlin dichiarava la morte di Al Durah, il bambino si risollevava miracolosamente, sollevava le braccia e si guardava intorno. Il filmato rivelava la presenza di palestinesi che inscenavano proteste e che partecipavano alla coreografia, ad uso e consumo di diecine di giornalisti e operatori. La questione Al Durah, che ha dato luogo ad un'esplosione di violenza e sofferenze, era una balla: «sapete, va sempre così» oppure «tanto è quello che fanno sempre» è stata la giustificazione di France2 e dello stesso Elderlin dopo che la messinscena fu smascherata.
Il licenziamento di Badawi della scorsa settimana non deve alimentare false speranze. La stampa internazionale si deve chiedere qual è il prezzo di questa collusione in questa campagna denigratoria. Forse la pace fa un passo in avanti consentendo a queste organizzazioni palestinesi di bersagliare i bambini, usandoli per veicolare artificialmente l'opinione pubblica mondiale? Perché i media creano un incentivo per Al Fatah, per Hamas e per altre organizzazioni, affinché si utilizzino bambini davanti alle telecamere? e, cosa più importante, quanti innocenti ancora moriranno per compiacere i giornalisti impegnati nel conflitto arabo-israeliano?
Talal Abu Rahmeh, il cameraman palestinese responsabile delle riprese della finta morte di Al Durah, nel 2001 ha dichiarato ad un giornale del Marocco che ha intrapreso questa professione per combattere al fianco dei palestinesi. Queste parole, che rappresentano un secco rimprovero per la mancanza di diligenza della stampa internazionale, ci fanno ricordare un passaggio dello statuto di Hamas: «La Jihad non si limita ad imbracciare le armi e ad affrontare il nemico. Le parole ben spese, un articolo azzeccato sono elementi della Jihad». Per quanto tempo ancora la stampa internazionale fungerà da complice per il martirio mediatico?

Fonte: Huffington Post.

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