mercoledì 20 aprile 2011

La miopia degli "esperti" sulla questione israelo-palestinese



Il giudice sudafricano Goldstone, incaricato due anni fa dall'ONU di redigere un rapporto dettagliato sulle responsabilità degli eserciti di Hamas (Gaza) e Israele nell'ambito delle morti di civili durante la guerra di Gaza, è tornato agli onori della cronaca di recente ammettendo dalle colonne dell Washington Post - il New York Times era stato interpellato per pubblicare l'Op-Ed di Goldstone, ma il giornale liberal americano si è rifiutato... - che sulla base delle conoscenze attuali non avrebbe mai scritto quel rapporto, in cui si mettevano sullo stesso piano l'IDF (l'esercito israeliano) e i miliziani di Hamas per aver colpito deliberatamente i civili.

Goldstone ha ammesso - meglio tardi che mai? - che l'esercito israeliano non ha mai inteso colpire delibertamente i civili palestinesi, raggiunti in parte peraltro molto ridotta. Successe che molti miliziani palestinesi non indossarono divise militari, il che gonfiò artificiosamente il numero delle vittime civili; si confusero fra la folla, costringendo i civili a presenziare ai combattimenti dal campo di battaglia e lanciarono i loro attacchi da piazze, moschee, ospedali, abitazioni e addirittura cimiteri. Il ministero della Difesa israeliano avviò un'inchiesta dopo l'operazione Piombo Fuso che anticipò quello che solo ora è "di dominio pubblico" (si fa per dire: i media occidentali sono rapidi a rilanciare le accuse provenienti da ambienti filopalestinesi, anche se infondate, senza nemmeno verificare le fonti; salvo dimenticarsi di fornire smentita equivalente per visibilità quando la notizia originaria si rivela palesemente falsa). Non altrettanto è stato fatto da Hamas a Gaza.



Ma c'è qualcun altro che dovrebbe recitare il mea culpa. Nessuno fra i cosiddetti esperti ha previsto i tumulti e le rivolte nel Nord Africa e in Medio Oriente. Questo perché essi hanno sempre spiegato al mondo occidentale che la radice dei problemi di quell'area risiedeva nel conflitto israelo-palestinese, e che una volta risolto esso (mediante imposizione di nuovi e ulteriori sacrifici ad una parte, e nuove ed ulteriori concessioni all'altra), tutto sarebbe stato risolto, e il Medio Oriente sarebbe tornato a vivere in pace e prosperità.

Ma i giovani che affollano le strade e le piazze di Damasco, del Cairo e delle città mediorientali non bruciano bandiere con la stella di David. Non urlano contro l'imperialismo o l'espansionismo di Israele. La causa del loro malessere non è residente a Gerusalemme. La stessa Al Jazeera - che l'amministrazione Bush non esitava a giudicare fiancheggiatrice di Al Quaeda, e che certo non può definirsi di simpatie sioniste - negli ultimi giorni ha proposto a più riprese le immagini di politici di alto livello dell'unica democrazia del Medio Oriente processati e incarcerati per reati commessi. Il messaggio è stato: "vedete? in Israele chi si comporta male paga, non viene salvato". Lanciando un segnale neanche tanto velato di desiderio di emulazione di un sistema politico che può funzionare anche ad est del Giordano.

La speranza è che l'Occidente finalmente rinsavisca e riconosca i propri errori di valutazione, come fatto recentemente dal giudice i cui atti di condanna negli ultimi due anni sono stati amplificati e strumentalizzati in tutto il mondo, al punto da consigliare ai politici israeliani di evitare di compiere viaggi in paesi apparentemente democratici come il Regno Unito, pena l'arresto e la detenzione. Non ci si aspetta che i sedicenti esperti di questioni mediorientali raccolgano le loro ammissioni di colpa sulle colonne dei giornali; sarebbe sufficiente che cessassero di avvelenare l'opinione pubblica con una visione che i fatti hanno dimostrato essere miope, se non distorta e in malafede.

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